Nel salotto non c'ero che io; io, in piedi, nell'atteggiamento nervosissimo dell'aspettazione, guardando dei quadri di cui conoscevo tutto, l'autore, il tema, il valore artistico, la provenienza, la data in un angolo. Geltrude, la cameriera, entrò dallo studio e mi disse: Il signore ha una visita; ma si sbrigherà sùbito, e la prega di pazientare un istante. La cameriera attraversò la sala ed uscì dalla porta che metteva al sèguito dell'appartamento: io mi posi a sedere sul divano color foglia morta. Vecchio salotto, dove regnava un ordine insoffribile, quello del signor Pietro Folengo! V'era lo scaffaletto da ninnoli, con dei minerali preziosi e degli uccelli imbalsamati; v'era il piano, a coda; v'era la tavola con dei mostri cinesi, degli albi di famiglia e dei libri regalati dai giornali cui il signor Folengo era abbonato; v'eran quegli oggetti e quei mobili volgari, che disposti in qualunque modo, messi sotto qualunque luce, formano sempre un solo tipo di casa, producono sempre una sola impressione. Tuttavia, dopo i quadri, io passava in rivista accuratamente quelle cose notissime, rilevando la maniera sciatta con cui le si eran collocate, e così ligia alle regole di riscontro ch'io mi volsi per vedere se non vi fossero anche due caminetti, l'uno di faccia all'altro.
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