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Giordano Bruno, nato Filippo Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), è stato un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano. Il suo pensiero, inquadrabile nel naturalismo rinascimentale, fondeva le più diverse tradizioni filosofiche - materialismo antico, averroismo, copernicanesimo, lullismo, scotismo, neoplatonismo, ermetismo, mnemotecnica, influssi ebraici e cabalistici - ma ruotava tutta intorno a un'unica idea: l'infinito, inteso come l'Universo infinito, creato da un Dio infinito, fatto d'infiniti mondi, da amare infinitamente. Il Dio di Giordano Bruno è da un lato trascendente, in quanto intelletto e ordinatore della natura, ma nello stesso tempo è immanente, in quanto creatore del mondo: Dio e Natura sono un'unica realtà da amare alla follia, in un'inscindibile unità panteistica di pensiero e materia, in cui dall'infinità di Dio si evince l'infinità del cosmo, e quindi la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'etica degli eroici furori. Per queste argomentazioni, giudicate eretiche, fu condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica e arso vivo a piazza Campo de' Fiori nell'anno 1600; ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all'abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un Universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica. È lo stesso Bruno, negli interrogatori cui fu sottoposto durante il tragico processo che segnò gli ultimi anni della sua vita, a dare le informazioni sui suoi primi anni. « Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato et allevato in quella città », e più precisamente nella contrada di San Giovanni del Cesco, ai piedi del monte Cicala, forse unico figlio del militare, l'alfiere Giovanni, e di Fraulissa Savolina, nell'anno 1548 - «per quanto ho inteso dalli miei». Il Mezzogiorno era allora parte del Regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola: il bambino fu battezzato col nome di Filippo, in onore dell'erede al trono di Spagna Filippo II. La sua casa - che non esiste più - era modesta, ma nel suo De immenso ricorda con commossa simpatia l'ambiente che la circondava, l'«amenissimo monte Cicala», le rovine del castello del XII secolo, gli ulivi - forse in parte gli stessi di oggi - e di fronte al Vesuvio che egli, pensando che oltre quella montagna non vi fosse più nulla nel mondo, esplorò ragazzetto: ne trarrà l'insegnamento di non basarsi «esclusivamente sul giudizio dei sensi».
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