Simone Moro è un alpinista d’alta quota. In questo libro, il primo che scrive, vuole raccontare la spedizione sull’Annapurna del 1997 che è costata la vita ai suoi due compagni di cordata e che lo ha visto miracolosamente sopravvissuto alla valanga che ha ucciso gli altri e che lo ha fatto precipitare per 800 metri.
E così parte dalla sua infanzia e cerca di spiegare come mai ha fatto della montagna il suo mestiere, perché scalare è la sua vita e che cosa significa per lui raggiungere la vetta. Ci racconta le sue esperienze, le sue paure, i suoi dubbi e la grande, indimenticabile amicizia con Anatolij Bukreev, il grande alpinista kazako morto sull’Annapurna.
Perché erano lì in pieno inverno? Come mai avevano deciso di affrontare quella parete in una stagione così ostile? Quale era il loro obiettivo?
Simone racconta, descrive, spiega. Ci fa sentire il freddo e la stanchezza e poi la solitudine e la disperazione della sua discesa dopo la valanga, con le mani ferite e inutilizzabili, i tendini recisi, e la sensazione di non farcela. Ma il vero dolore Simone lo prova quando non può più sperare nella salvezza dei suoi due compagni. Il suo racconto è però un inno alla montagna e a quell’amico che sarà sempre vivo nel suo cuore.
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